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CEFALEE DAL PUNTO DI VISTA PSICOSOMATICO

Aggiornamento: 2 apr


Relativamente al punto di vista della medicina psicosomatica, l’ipotesi alla base è l’unità funzionale psiche e soma. Il termine psicosomatico viene storicamente associato ad una serie di malattie psicosomatiche, nella cui eziologia e patogenesi è stata dimostrata una significativa presenza di fattori mentali, quali esperienze emozionali stressanti, fattori di personalità e condizioni conflittuali di ordine psicologico (Gala, Colombo, 1996).

L’American Psychiatric Association definisce come psicosomatico tutto ciò che fa riferimento a una costante e inseparabile interazione della psiche e del soma (APA, 1980). La medicina psicosomatica attribuisce notevole rilievo alle correlazioni tra aspetti somatici e psichici considerati all’interno della concezione unitaria dell’individuo. A tal proposito il modello epistemologico della Complessità bio-psico-sociale di Morin (Fulcheri M.,2005) sostiene che le malattie psicosomatiche devono essere studiate in un’ottica complessa che possa coinvolgere non solo fattori medici, ma anche varie relazioni psicologiche e sociali che incorrono tanto nello sviluppo quanto nell’etiopatogenesi della malattia. Pertanto il disturbo psicosomatico segue un modello di complessità di fattori che determinano l’insorgenza del problema, spiegando come il disturbo sia causato da fattori di tipo somatico e genetico, e da fattori interpersonali e ambientali.

Con F. Alexander e altri allievi di Freud nel 1938 si è costituita la ‘American Psychosomatic Society’ che si è rapidamente diffusa in tutto il mondo. Oggi, vi sono diverse visioni della psicosomatica stessa, quello cognitivo-comportamentale, familiare, psicoanalitico, neurofisiologico. L’approccio psicosomatico, con qualsiasi tipo di paziente si instauri e in qualsiasi forma specifica di intervento esso si manifesti, è essenzialmente basato sulla relazione interpersonale a più livelli, ovvero si propone di studiare e aiutare l’essere umano nei suoi aspetti psicologici e in quelli corporei.

Il paziente psicosomatico spesso rimugina, mette dentro, ingoia, è un uomo caratterizzato da bocconi amari e dai sentimenti ingoiati. Il corpo sostituisce la parola e dice, con la sua malattia, ciò che la parola non sa e non può comunicare. In effetti, è il soggetto stesso ad aver rinunciato alla parola: forse, egli ha constatato che, in diverse situazioni, la parola si è rivelata inutile, pericolosa, paradossale, e così è ricorso ad una forma di comunicazione, quella dei sintomi somatici che, sebbene più dolorosa e ambigua, proprio per la sua ambiguità offre, nel momento in cui il soggetto vi si ritira, maggiori garanzie al suo equilibrio psicologico (Agresta F., 2002). Una caratteristica degli psicosomatici è infatti spesso l’alessitimia (Agresta F., 2002), definita per la prima volta da P. Sifneos che attraverso l’analisi delle trascrizioni letterali di colloqui , insieme ad altri colleghi nel MIT di Boston, riscontrò nella maggior parte dei pazienti un’ evidente difficoltà a descrivere i propri sentimenti, accompagnata da un’attività immaginativa povera. Definì questa condizione ‘alessitimia’ che letteralmente significa emozione senza parola (o mancanza di parole per esprimere le emozioni).

L’alessitimia coinvolge sia la sfera affettiva che quella cognitiva, cioè l’incapacità di riconoscere ed esprimere le proprie emozioni, ma soprattutto di verbalizzarle. Nella sfera cognitiva si assiste al pensiero operativo e concreto, tendenza all’agito, e all’inibizione della fantasia. Nella sfera affettiva emerge incapacità a verbalizzare i sentimenti, incapacità di specificare bene tra emozioni spiacevoli e piacevoli, vocabolario povero riguardo alla possibilità di esprimere emozioni e descrivere i sentimenti. Le risposte stesse sono descrizioni delle azioni che compiono in quelle circostanze, spesso accompagnate da irritazione. Per quanto riguarda la percezione del corpo in questi pazienti è vissuto come parte scissa dalla mente, c’è un tipo di rappresentazione disturbata dello schema corporeo ed è inadeguatamente connesso a sé.


Cefalee e stati emotivi

Entrando nel fulcro del problema, verrà ora spiegato in che modo un’emozione, un atteggiamento emotivo possano produrre un attacco emicranico o uno stato cronico.

La testa è la struttura organica sede della coscienza, del pensiero e della ragione. La testa è la sede di tutte le attività cognitive come il pensiero, l’immaginazione, la ragione, infatti, l’attività mentale in preda a un attacco di cefalea, è inibita alla radice, non si riesce più a ragionare, si ha una sorta di black out della mente. Pensare fa molto male. In questo modo si esprime il desiderio inconsapevole di tenere lontani pensieri troppo invadenti o che possono turbare. Perciò il mal di testa può essere visto come una difesa rigida che blocca sul nascere la presa di coscienza. Secondo P. Marty, la cefalea rappresenterebbe una dolorosa inibizione dell’ atto del pensare (Marty P., 1951).

Parlare di personalità del cefalgico può sembrare a prima vista troppo generalizzante, dato il gran numero di persone che ne soffrono e la molteplicità di forme del sintomo stesso. Tuttavia, pur tenendo conto che ogni malattia è legata ad una storia personale che insorge in relazione a vissuti estremamente soggettivi, si può notare qualche somiglianza tra coloro che ne soffrono. Esistono alcuni tratti di personalità che li accomunano, una matrice comune che si divide poi in molteplici sfaccettature.

Numerosi studi condotti da un punto di vista psicosomatico sulle cefalee ed emicranie emergono tre aspetti che accomunano questi pazienti. La contrapposizione tra ragione ed emozione: la F. Reichmann, ritiene che i pazienti emicranici rappresentino l’espressione di un’ opposizione tra razionalità e sentimento(emozione), che proverrebbe dalla vita in famiglie ligie alle convenzioni e con forte orgoglio e rigidità. In queste famiglie sono severamente puniti i sentimenti di ostilità con l’espulsione dal gruppo e quindi con la perdita della protezione familiare. Il paziente quindi deve controllare i suoi atteggiamenti aggressivi e quando l’aggressività aumenta cerca di scaricarla in un attacco di emicrania. I sintomi cefalgici appaiono cioè quando un atteggiamento di ostilità viene diretto in particolare verso individui emotivamente vicini al soggetto e il senso di colpa che si genera di conseguenza va a scaricarsi sul paziente stesso con il risultato del dolore (Reichmann F., 1937).

Un secondo filone vede invece nell’ attacco cefalico-emicranico il risultato di un atteggiamento cronico di controllo dell’ aggressività che non può esprimersi all’esterno e che viene rivolta verso di sé.

Infine è stata rilevata la sopravvalutazione della funzione del pensiero e la sua inibizione durante l’attacco cefalgico, per cui nei soggetti affetti da cefalea ed emicrania esiste una sopravvalutazione delle attività logico-razionali nella gestione dei problemi e in generale nell’interazione con la realtà esterna. Pensare è la facoltà più usata e maggiormente valutata, il blocco del pensiero realizza la difesa della coscienza da contenuti sentiti come dannosi.


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